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Il Baccalà

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Il pesce dalla doppia vita: una da merluzzo del Mare del Nord, la seconda sulle nostre tavole dopo una resurrezione che lo trasforma, a seconda dei metodi di lavorazione, in Baccalà o Stoccafisso. Un pesce dai mille volti, in grado di trasformarsi in piatti prelibati ed essere inserito in infinite ricette. Basti pensare che i portoghesi hanno 366 ricette ufficiali con ingrediente il baccalà che coprono tutti i giorni di un anno, anche se bisestile.

La procedura di salagione del baccalà (dalla parola basso tedesca bakkel-jau che significa “pesce salato”) sembra si debba  attribuire ai pescatori baschi che, seguendo i branchi di balene e arrivati al Mare del Nord, si imbatterono in enormi banchi di merluzzo verso l’isola di Terranova, ne catturarono in grandi quantità e usarono per questo pesce il procedimento di conservazione già utilizzato per la carne di balena.
Per quanto riguarda lo stoccafisso (dal norvegese stokkfisk, ovvero “pesce a bastone”)invece sembra che i metodi di preparazione risalgano a molti secoli fa, addirittura al 1200, ed al modo di conservazione utilizzato dai pescatori delle isole Lofoten, in Norvegia. In queste zone, tra febbraio e aprile, migra il merluzzo artico norvegese (gadus morhua) per deporre le uova. Catturato in grandi quantità, veniva messo sui supporti e lasciato all’aria aperta e qui il clima freddo e secco, tipico di quei mesi nella penisola scandinava, costituiva un ambiente ideale per essiccare il pesce e proteggerlo dagli insetti e dalla contaminazione batterica.
I metodi di lavorazione del baccalà e dello stoccafisso, come abbiamo visto, prendono strade diverse. Anche la materia prima può differire: infatti per il baccalà può essere usata sia la tipologia “gadus macrocephalus” che “gadus morhua” mentre per lo stoccafisso invece la razza specifica è la “gadus morhua”.

Fasi di lavorazione del baccalà:

  1. Pulitura: prima di tutto, il merluzzo viene attentamente pulito e lavato in acqua corrente
  2. Salatura: dopo essere stato pulito, il merluzzo passa alla salatura. In questa fase, il pesce viene collocato in grandi casse e ricoperto di sale
  3. Cambio di posizione: ogni 4-5 giorni il merluzzo viene rigirato e cambiato di posizione. Durante questa operazione, il pesce perde l’acqua in eccesso e assorbe completamente il sale
  4. Controllo qualità e selezione: mentre si effettua il cambio di posizione del merluzzo, si controlla anche la qualità e si opera una selezione del pesce
  5. Classificazione e imballaggio: dopo circa tre settimane, il processo di salatura è completo e il baccalà è pronto per essere classificato e imballato

Fasi di lavorazione dello stoccafisso:

La lavorazione è paragonabile a quella di altri prodotti alimentari invecchiati, come i liquori, i prosciutti o i formaggi. Il pesce viene preparato immediatamente dopo la cattura. Dopo averlo decapitato e pulito, viene essiccato intero o aperto lungo la spina dorsale, lasciando le metà unite per la coda viene essiccato all’aperto, grazie all’azione del sole e del vento, su apposite rastrelliere. Il perfetto equilibrio tra sole e vento artico ha un ruolo fondamentale, perché il pesce si deve essiccare in modo uniforme. Inoltre, durante il periodo di essicazione si effettuano costanti controlli sulla distanza tra un merluzzo e l’altro. Questo perché la distanza deve essere tale da far circolare l’aria e far sì che non si formino macchie, muffa o residui di sangue che ridurrebbero la qualità del prodotto finale.

Veniamo adesso a come questi prodotti si diffondo in Italia e in Campania:

Lo stoccafisso sarebbe stato introdotto nel Triveneto dai veneziani, che erano grandi navigatori e portavano in patria ogni novità. La più diffusa versione dei fatti sostiene che, nel 1432, la spedizione agli ordini del capitano veneziano Pietro Querini naufragò in Norvegia, sull’isola di Rost. Rientrando a casa, il Querini portò lo stoccafisso, che nel Triveneto è tuttora chiamato baccalà. I veneziani videro nello stoccafisso un’allettante alternativa al pesce fresco, costoso e facilmente deperibile. Nacque allora la tradizione di consumare questo piatto secondo varie ricette, tra le quali il “baccalà alla vicentina”.

Risale invece al 1500 ed ai primi affari sulle rotte marittime tra produttori vesuviani e del Nord Europa, l’arrivo del Baccalà in Campania  e sembra che i napoletani usassero  mettere in ammollo le famose “scelle” nelle acque delle sorgenti del fiume Sebéto a ridosso del Monte Somma.
Ritornando alla sua diffusione in Campania, quest’ultima venne favorita grazie alla Controriforma cattolica che vietava il consumo di carne nelle feste comandate. Il baccalà divenne una delle prime alternative alla carne e prese piede anche e soprattutto nei dintorni del capoluogo, grazie anche ai monaci di Madonna dell’Arco, che tra Sant’Anastasia e Somma insediarono e utilizzarono le prime vasche adatte ad «ammollare» il pesce, dunque a farlo rinvenire per essere poi lavorato e messo in commercio come un prodotto fresco.
Da allora il baccalà e lo stoccafisso sono entrati di prepotenza nella cucina napoletana, diventando uno dei piatti simbolo del Natale ed una delle pietanze più amate dalla tradizione  popolare.
Somma Vesuviana è la capitale del baccalà, i rapporti che ha consolidato con Norvegia e Islanda, la rendono la maggiore realtà produttiva del Mezzogiorno, insidiata in Italia solo da Veneto e Marche.
Qui si trovano infatti le più grandi aziende italiane d’importazione e di conservazione di baccalà che è riuscito a rendere più gustosa la tavola delle case più povere con il “mussillo” o con il “curuniello”, cioè il dorso e la pancia del merluzzo.

Stocco “arrecanato” con patate, baccalà all’insalata, linguine e baccalà e naturalmente baccalà fritto sono alcuni esempi di come la fantasia partenopea abbia inserito il baccalà nelle sue ricette e di come la tradizione del consumo di questo cibo mieta sempre più seguaci…

Buon Appetito!!!

a cura di Vincenzo Russolillo