La cucina contadina: mangiare bene spendendo poco
Ritornare alle origini e riscoprire i gusti del passato, di una cucina genuina e semplice, quella dei contadini italiani, coloro che hanno contribuito più di tutti, con il loro sapere, alla “scrittura” della nostra amata Dieta Mediterranea.
Parliamo di una cucina autentica, fatta di ingredienti “poveri” che affonda le radici in quelle antiche e semplici ricette dal sapore intenso che sono arrivate fino a noi e che oggi sono tutelate dall’Unesco come patrimonio immateriale dell’umanità.
Non sono molti i libri specializzati nella buona cucina contadina di una volta, ed è un peccato, perché la tradizione gastronomica rurale italiana di ogni regione d’Italia è molto ricca e meriterebbe di essere opportunamente documentata. Nel contempo, notevole è lo sforzo che stanno facendo oggi ristoratori, agriturismi o associazioni come Slow-Food, che sono impegnati nel recupero e nella valorizzazione della tradizione, e che ripropongono piatti di origine contadina come, ad esempio, il nostro amico Berardino Lombardo che nel suo menù propone l’uovo a sciusciello, il pane cotto con i broccoli, la minestra di cicorie, i peperoni imbottiti, polpette, zuppa di zucchine, frittate e che impiega tanta energia per il recupero e la valorizzazione del suo territorio dell’alto casertano. Nonostante questo, ancora tanto si può fare per riportare il nostro patrimonio gastronomico agli onori che merita, ancora tanti usi e tante consuetudini campagnole possono essere scritte e rese disponibili prima che si perdano nel tempo.
Da questa consapevolezza si può partire per comprendere che quella che definiamo cucina “povera”, che in realtà è una delle più ricche al mondo, sia in termini di ingredienti (biodiversità) che di ricette. La cucina contadina può essere definita una vera e propria arte, con un ingegno tutto italiano e con un’immensa fantasia, spesso alimentata da donne che hanno fatto del bisogno e delle carenze economiche una vera e propria risorsa.
Per descrivere questa cucina bisogna partire dal contadino, che ad un certo punto della sua storia diventa stanziale e che vive per lo più di auto-consumo, facendo raramente ricorso al mercato. In questo scenario, l’unica cosa che era tenuto a rispettare per la propria sussistenza alimentare era il territorio, con tutto quello che era in grado di offrire, egli doveva solo trovare il modo di conservare ed accumulare scorte per periodi di carestia o per l’inverno, quando i prodotti della terra scarseggiavano. Si iniziano così a sperimentare le prime tecniche di conservazioni dei prodotti con l’ausilio dell’olio, del sale e dell’aceto e ad utilizzare le farine per la produzione del pane che gli garantisce per tutto l’anno il sostentamento necessario.
Per intere generazioni rurali il pane, il formaggio e poco altro hanno costituito il pasto regolare, tanto più ricco quanto più si poteva accompagnare con una cipolla, qualche oliva e un buon bicchiere di vino. Ed è proprio dal pane, elemento povero e ricco allo stesso tempo, che emerge il tocco di qualità tipico della cucina contadina. È il pane di ieri, dell’altro ieri e dell’altro ieri ancora che sarà buono anche domani: basterà arricchirlo, accomodarlo di gusto, riutilizzarlo in ricette nuove e gustose.
Proprio dal concetto “il pane di ieri è buono anche domani” nasce nelle comunità contadine il concetto del riciclo degli avanzi, mai concepiti realmente come scarti di cui disfarsi ma, al contrario, considerati un bene, una sorta di piccolo risparmio che, se custodito, consente un utilizzo successivo. Basti pensare che nelle regole scritte di alcuni monasteri del sud Italia c’era quella di non buttare le briciole del pane che alla fine del pasto rimanevano sulla tavola, e di conservarle con cura in un barattolo di vetro pulito, così da poterle riutilizzare al sabato per farne torte o altre preparazioni per i giorni di festa.
Tutta la cucina contadina è quindi incentrata sull’utilizzo di risorse scarse, di ricerca per valorizzarle, di trasformazione delle stesse per renderle disponibili nel tempo. Dai contadini nasce il concetto di conserva, sono loro che iniziano a produrre composte o marmellate, e a loro si deve la più grande abilità nello sfruttare tutto ciò che la natura è in grado di offrire. Anche un animale macellato si rispetta fino in fondo, niente viene buttato, il cosiddetto “quinto quarto” dell’animale è quello che resta ai contadini, ai quali arrivavano soltanto gli scarti delle carni, quelle che restavano dopo aver eliminato i due quarti anteriori e posteriori degli animali destinati alle classi più agiate.
I contadini, però, trovarono il modo di valorizzare quelle parti, le resero nobili con l’utilizzo di spezie o immergendole in sughi o brodi: la trippa, i rognoni , il cuore, il fegato, la milza, il pancreas, il cervello, la lingua, i polmoni, la coratella. venivano utilizzate per zuppe o cotte in umido e rappresentavano per loro l’unico vero apporto di proteine animali. Numerose sono le ricette che sono arrivate fino a noi e qui è d’obbligo ricordare quello che rappresenta la “coda alla vaccinara” oggi per i romani, il “soffritto” per i napoletani, la “lingua cotta” in Friuli o il famoso “pani câ meusa” (milza) a Palermo, e come questi scarti di animali siano oggi presenti in menù di chef stellati di tutto il mondo.
Per concludere, è alla tradizione contadina ed al concetto di riuso ed autosufficienza che ci dovremmo avvicinare per ritrovare il nostro modo di condividere il cibo, a quel “focolare” che scalda il calderone di rame cuocendo lentamente patate, uova, zuppe di legumi, minestre di verdure selvatiche e granaglie. Oggi questo modello è l’unico in grado di garantirci un futuro “biodiverso” e rispettoso dei ritmi naturali della natura, delle sue cadenze e dei sui momenti di necessario riposo.
Buon Appetito!
a cura di Vincenzo Russolillo