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Aglio e Uoglio (Aglio e olio)

Spaghetti, vermicelli o linguine? Napoli e i napoletani si sono sempre divisi su quale pasta cucinare con aglio, olio e peperoncino. Quest’ultimo, in verità, è stato aggiunto in un secondo momento, ma ha reso la ricetta internazionale. Lo spaghetto condito con aglio, olio e peperoncino, infatti, è, assieme alla pasta al pomodoro, sinonimo di cucina napoletana nel mondo.
Rivisitazione “povera” degli spaghetti alle vongole o ai frutti di mare, Jeanne Caròla Francesconi, la vestale della cucina napoletana, autrice del libro più famoso e venduto, non ha dubbi che bisogna usare le linguine. Non poteva essere diversamente. Le prime forme di pasta, da cui poi sono nate tutte le altre, infatti, erano una sorta di tagliatelle, praticamente delle lagane più lunghe. Per i puristi, gli storici e i gastronomi, invece, è tassativo utilizzare i vermicelli, argomentando la tesi con l’assunto storico che un tempo questa ricetta era denominata “vermicelli alla Borbonica”.

Gli spaghetti, con cui il piatto è preparato oggi nella maggior parte delle case e dei ristoranti, sono un’invenzione recente, a dispetto di chi sostiene li abbiano inventati addirittura i cinesi e siano arrivati in Italia portati da Marco Polo nel 1295. Il termine spaghetti, infatti, compare per la prima volta nel testo “Li maccheroni di Napoli” del poeta e commediografo napoletano Antonio Viviani, pubblicato nel 1824.
Ma se c’è un alone di mistero sull’origine della ricetta e sul tipo di pasta da impiegare, tutti sono d’accordo che spaghetti, vermicelli o linguine devono essere “sciuliarielli” (resi scivolosi dall’olio). La storica ricetta che si tramanda da generazioni vuole che, oltre all’olio abbondante, sia d’obbligo aggiungere un po’ d’acqua di cottura della pasta.
Oggi non c’è dubbio che l’olio deve essere rigorosamente extravergine, ma per secoli è stato olio d’oliva, perché l’extravergine risale al secondo dopoguerra. Una trovata di marketing dell’allora patron dell’olio, Dante Angelo Costa, per differenziare il suo olio dai concorrenti.

E l’aglio?

Un tempo, come oggi, deve essere quello della valle dell’Ufita, nell’avellinese. In ogni casa napoletana che si rispetti non manca mai una treccia d’aglio, la famosa “nzerta”.
Alla fine del XIX secolo gli spaghetti aglio e olio e al pomodoro erano così diffusi a Napoli che, su richiesta di Ferdinando II di Borbone, il ciambellano di corte Gennaro Spadaccini inventò la forchetta a tre rebbi per consentire di avvolgerli e poterli mangiare non più con le mani, come era d’uso, ma con le posate.

Aglio e uoglio è un modo di mangiare, ancora prima che di condire la pasta ed in particolare gli spaghetti.

Alle prossime pietanze…

a cura di Vincenzo Russolillo




Dispensa Italiana al Lucca Summer Festival

Parte oggi l’avventura di Dispensa Italiana al Lucca Summer Festival 2017 che, quest’anno, festeggia il 20esimo anniversario. Dopo i successi dello scorso anno ai concerti di Elton John e David Gilmour, andati in scena nella suggestiva cornice dell’Anfiteatro di Pompei, e la fortunata esperienza alla scorsa edizione del Lucca Summer Festival, continua la collaborazione tra Gruppo Eventi, di cui Dispensa Italiana cura il settore food, e la D’Alessandro & Galli, società leader nel settore del music business, che si occupa di concerti live e show.

Durante tutto il periodo del Lucca Summer Festival, che parte oggi e durerà fino al 31 luglio, Dispensa Italiana curerà l’area ospitalità dei grandi eventi internazionali in programma: dai Green Day a Robbie Williams, dal Volo a Luis Fonsi passando per J-Ax & Fedez, fino al concerto-evento di Ennio Morricone per il suo 60esimo anniversario come compositore e direttore d’orchestra, solo per citarne alcuni.

A Lucca, la tradizione culinaria italiana incontrerà la grande musica, con dei percorsi gastronomici studiati per ogni occasione, in base alle specifiche esigenze e richieste dei singoli artisti che si alterneranno sul palco.

a cura di Vincenzo Russolillo




Funghi: dove e quando – Porcini d’estate

Il nostro micologo, Raffaele Capano, mese dopo mese ci guida alla scoperta dei funghi tipici del periodo: ce ne svela caratteristiche, curiosità e consigli d’utilizzo per esaltarne magnificamente tutti i sapori.
Il fungo di questo mese è il Boletus aestivalis (Porcino d’estate)

Come riconoscere i porcini

CAPPELLO: può raggiungere il diametro di 25 cm. Sodo e carnoso, con colore variabile che va dal beige chiaro al nocciola, o al rosso mattone scuro;

IMENOFORO: (o parte fertile) a tubuli lunghi, inizialmente bianchi, poi giallognoli infine, a maturità raggiunta, si presentano di un verde scuro o olivastro;

GAMBO: robusto e  panciuto, rivestito per il suo intero da un evidente reticolo biancastro– crema, sempre presente;

CARNE: bianca e immutabile con pronunciato e gradevole profumo.

Porcini: quando e dove cercarli

Il Boletus aestivalis (Porcino d’estate) cresce dalla tarda primavera fino all’autunno inoltrato, nei boschi caldi di latifoglie e conifere. È un fungo di qualità eccellenti, il porcino più profumato del gruppo edulis  (ovvero a carne bianca immutabile).

Come mangiare i porcini

Il Boletus aestivalis (Porcino d’estate) è un fungo che può essere consumato anche allo stato crudo, tagliato a fettine sottili con noci, rucola e scaglie di parmigiano con aggiunta di olio E.V.O., sale e pepe.

a cura di Vincenzo Russolillo




Cucinare con Anny

Chi è Anny?

Pasticciona Napoletana, mamma di tre bambini, Bruno, Alessandra e Francesco, lavoro nell’ufficio amministrazione di un Centro di fisioterapia. La passione per la cucina nasce sin da piccola guardando cucinare la nonna materna, di cui conservo gelosamente le ricette. Ho iniziato a dedicarmi ai fornelli con costanza guardando gli chef in TV e pensando: “se lo ha fatto lui, posso farlo anch’io”.

Il segreto della mia cucina? Ingredienti genuini, ricette semplici, riuso degli avanzi. Sono convinta che tutti possano cucinare anche piatti difficili, non lo fanno perché nessuno li ha mai aiutati o incentivati a farlo.
Le ricette che propongo qui sono veramente per tutti. Cucinare svolge una grande funzione antistress e produce un effetto positivo sulla propria autostima, oltre a rappresentare un linguaggio relazionale universale: cucinare per gli altri trasmette un messaggio molto forte e immediato, quello dell’attenzione all’altro. Cucinare è amare!

Muffin al cioccolato

Preferisco che i miei figli, a colazione come a merenda, mangino prodotti genuini: una fetta di torta, pane con marmellate e confetture fatte in casa, dei semplici biscotti di pasta frolla, succhi e frutta. In questo periodo in casa abbiamo un po’ di cioccolata in più da consumare, quella delle uova pasquali. Quale miglior modo per utilizzarla che preparare degli ottimi muffin al cioccolato!

Con questi dolcetti non si sbaglia mai, ai bambini piacciono tanto e non solo a loro… La ricetta è molto semplice e facile da preparare. Le quantità degli ingredienti sono indicate per la preparazione di 15 muffin medi o 12 medi e 6 piccoli. Per prepararli è possibile utilizzare delle formine in carta da forno o le cosiddette teglie antiaderenti preformate.

Cosa sono i muffin?

I muffin sono tra i dolci più diffusi al mondo. Consumati assieme ad un bicchiere di latte fresco o parzialmente scremato sono indicati per la colazione di bambini e adolescenti, per un tè pomeridiano e, perché no, per offrirli come merenda scolastica.
Di origine inglese, esistono in diverse varianti di cui le più note sono quella classica, al cioccolato e frutti di bosco, ma possiamo farcirli con quello che ci piace di più.

Come preparare ottimi muffin

>>>Ingredienti per 15 muffin c.a.

200 g. di farina 00
200 g. di zucchero semolato
150 ml di latte intero (va bene anche il Parzialmente scremato)
2 uova
80 g. di burro
1/2 bustina di polvere lievitante
60 g. di cacao
150 g. di gocce di cioccolato (o cioccolato sminuzzato)

Per preparare pochi muffin funziona molto bene anche la mezza dose della ricetta e i dolcetti possono essere cotti anche in un fornetto elettrico. 

Difficoltà: facile
Tempo di preparazione: 10’
Tempo di cottura: 15’
Temperatura forno: 180°

Preparazione

In una terrina setaccia la farina, unisci lo zucchero e mescola bene fino a che l’insieme di ingredienti non risulti amalgamato. Aggiungi il cacao continuando a mescolare con un cucchiaio e infine aggiungi la bustina di lievito.

Taglia il burro a dadini e fallo sciogliere in un pentolino a fiamma bassa.

In un’altra terrina apri le uova, aggiungi il burro fuso e il latte. Mescola con l’aiuto di una frusta manuale o con un frullino elettrico fino a quando il composto non risulterà ben amalgamato e comunque non oltre 5 minuti. Versa lentamente il composto così ottenuto nella terrina contenente la miscela “secca” continuando sempre a mescolare per 5-10’ o con un cucchiaio o con la frusta, a mano o elettrica fino a quando l’impasto non sarà omogeneo. A questo punto aggiungi le gocce di cioccolato o quelle ricavate sminuzzando gli avanzi di cioccolato.

Mentre il composto si riposa per qualche minuto, accendiamo il forno a 180°  ventilato e prepariamo la teglia o i pirottini per la cottura.

La teglia va prima imburrata e poi leggermente infarinata, un’operazione anche divertente: si sistema un po’ di farina nella teglia imburrata e girando delicatamente la si fa scivolare lungo l’intero perimetro, per farla omogeneamente distribuire.

a cura di Vincenzo Russolillo




Aspettando i Nastri d’Argento: ecco la nostra task force del cibo di qualità

Manca ormai poco più di una settimana alla cerimonia di premiazione dei Nastri d’Argento e, anche quest’anno, come saprete, Dispensa Italiana ne curerà l’accoglienza.
Un appuntamento fisso, ormai, quello di Taormina che, di anno in anno, vede confermarsi il team che lavora con dedizione e professionalità a questo grande evento, capitanano da Fofò Ferriere, responsabile enogastronomico di Dispensa Italiana, coadiuvato per l’occasione dal suo fido braccio destro, lo Chef Antonio Cascone.
Siamo andati, perciò, “dietro le quinte”, a conoscere meglio alcuni componenti della squadra che, sincronizzati tra loro, danno vita a questo meccanismo perfetto, ormai rodato e ben collaudato. Loro sono Fabrizio Scaramuzza, Presidente di NonsoloCibus, il Maestro Pasticciere Lillo Freni e il Maestro Panificatore Tommaso Cannata. Alcuni di loro sono freschi dell’esperienza G7 a Taormina e, nel corso di quest’intervista, ci svelano i retroscena di questo grande evento internazionale ma, soprattutto, ci raccontano cosa dobbiamo aspettarci da questa edizione dei Nastri d’Argento.

Cosa c’è dietro la filosofia di NonsoloCibus?
Frabrizio Scaramuzza – La nostra “filosofia” consiste nel valorizzare il territorio siciliano, in particolare messinese, e promuovere l’immagine della Sicilia e dei suoi prodotti tradizionali e di qualità. In quest’ottica, abbiamo attuato, negli anni, un ampio programma di valorizzazione dei prodotti del territorio attraverso una molteplicità di eventi con la volontà di recupero e valorizzazione delle tipicità enogastronomiche ed artigianali. L’attenzione alla qualità dei prodotti vuole essere un fattore qualificante di un’offerta di eccellenza, che abbandoni l’artificialità del prodotto industriale per recuperare l’autenticità di quello locale.

Come si inserisce la vostra associazione nell’ambito dei grandi eventi a cui prendete parte?
L’inserimento all’interno dei grandi eventi lo dobbiamo sicuramente al patron di Gruppo Eventi, Vincenzo Russolillo, ed al suo referente in Sicilia, Giuseppe Contarini, che ci hanno voluti, già dal lontano 2012, come unici partner in rappresentanza della Sicilia all’interno dell’importante programmazione annuale del Gruppo. È proprio da allora che nasce Cibo&Territorio “Madre in Sicilia”, brand proposto da NonsoloCibus nell’ambito di una strategia di marketing che conferisce certezza di qualità implicita dei prodotti proposti ai fruitori, in un connubio indissolubile con massicce dosi di “fashion territoriale”, idoneo a promuovere l’intero sistema.
La partecipazione a tutti questi prestigiosi eventi, oltre ad aiutarci a raggiungere una grande visibilità, ci ha consentito di maturare una riconosciuta esperienza, al punto di essere stati selezionati per organizzare il prestigiosoSicilian sweet breakper le First Ladies in occasione dell’ultimo G7 di Taormina.

Vediamo i dettagli di questo sweet break con chi ha fatto parte della brigata che l’ha curato: com’è stato cucinare per le donne più potenti della Terra? Può darci qualche indiscrezione?
Lillo Freni – Sì, con enorme piacere mi sono occupato di preparare i dolci per il cocktail delle First Ladies; è stato un momento particolarmente emozionante: netta la percezione di essere stato partecipe di un evento esclusivo, fortissimo l’orgoglio per aver potuto esprimere la passione per il mio lavoro rappresentando e proponendo l’eccellenza del mio territorio, raccogliendo numerosi consensi. Ricevere la richiesta di una fetta della “tua” cassata da alcune tra le donne più importanti del pianeta, ed ammirarne lo stupore, è sicuramente gratificante ed emozionante.

Cos’è piaciuto di più tra le tue dolci proposte durante il G7?
Ho ritenuto importante presentare un po’ tutti i dolci che fanno parte della nostra tradizione, sicuramente la cassata ed i cannoli hanno suscitato maggior interesse, ma il ruolo di outsider, stavolta è stato ricoperto dalla frutta martorana, questi fruttini abilmente dipinti e buoni da mangiare hanno incantato gli ospiti. Inoltre, avevamo preparato un piccolo “cadeau”, proprio con la frutta martorana, che abbiamo consegnato a tutte le First Ladies.

Potete darci, invece, qualche anticipazione sui preparativi per i Nastri d’Argento? Cosa dobbiamo aspettarci?
Fabrizio Scaramuzza Anche quest’anno, per l’After Show della 71esima edizione dei Nastri d’Argento, dopo la  premiazione al Teatro Antico di Taormina, saremo nelle splendide terrazze del Belmond Grand Hotel Timeo, scelte come cornice ideale per aprire e concludere con glamour la serata, dove allestiremo, insieme a Maria Greco, coordinatrice eventi e vice presidente di NonsoloCibus, una serie di corner in cui saranno protagoniste le eccellenze eno-gastronomiche tipiche regionali ed, in particolare, punteremo i riflettori sui prodotti agroalimentari di qualità “Madre in Messina”.
Ciò sarà possibile grazie alla indiscussa professionalità dei responsabili di sezione: Maestro Lillo Freni per la selezione dolci, Maestro Tommaso Cannata per la selezione Street food, gli Chef Pietro Arena e Katia Zanghì per la selezione ricette gastronomiche e presentazione di formaggi e salumi D.O.P, IGP e Tradizionali del nostro Territorio.

Tommaso Cannata – Sicuramente tra le mie proposte non mancherà la tipica focaccia messinese, il cui impasto è fatto con il grano antico siciliano Tumminia, farcita con la tuma (formaggio di pecora), scarola, pomodorino ciliegino di Pachino IGP e acciughe, il tutto condito con olio EVO, sempre siciliano. Ci tengo a sottolineare l’aspetto dei grani antichi, perché nel mio lavoro adopero solo ed esclusivamente farine ottenute da macinatura a pietra di grani antichi siciliani: visto che viviamo in una terra che ci regala oltre 50 tipi di grani diversi, attingiamo tutte le nostre materie prime dal territorio, rigorosamente macinate a pietra, perché, in questo modo, i prodotti che si ottengono oltre a essere buoni in bocca fanno bene anche al corpo, perché contengono fibre, germe di grano e poco glutine.

Lillo Freni – Naturalmente prepareremo i “ricercatissimi” cannoli e le cassate e, giusto per non deludere le aspettative, non mancherà la Pignolata messinese, il nostro dolce tipico, per poi lasciare spazio alla pasticceria moderna con vari finger di mousse e bavarese, e qualche particolare interpretazione della pasticceria mignon, sia alla crema che a base di mandorle finemente lavorate. Riserveremo inoltre uno spazio alla preparazione di alcuni dolci in chiave salutistica, con l’utilizzo di grani antichi siciliani e prodotti come il cioccolato 70%, frutta fresca, soia, che ci permettono di interpretare questa nuova esigenza, ormai una positiva realtà, tra le nostre proposte di pasticceria.

Concludiamo con un focus sui prodotti cosiddetti street food, importante tassello dell’offerta gastronomica al party per i Nastri d’Argento. Abbiamo chiesto al responsabile di settore quali sono le preparazioni più apprezzate dai Vip:
Tommaso Cannata – Come dicevo prima, sono stato uno dei pionieri nell’utilizzo dei grani antichi che, ormai, fanno parte del mio lavoro da più di 10 anni. Posso perciò dire di riscuotere sempre un certo successo per quanto riguarda i pani, soprattutto quelli particolari, ma anche per tutto lo street food: arancini, mozzarelle in carrozza, focaccia e pidoni messinesi.
Ormai tutti, ai Nastri d’Argento, si aspettano i miei arancini e i miei pidoncini, gustati sempre con piacere da tutti i Vip che ho incontrato. Volendo riportare l’episodio più simpatico che mi è capitato, cito l’incontro con Alessandro Gassman che io, per errore, chiami Raoul, scambiandolo per Bova. Lui mi guardò e disse: “Mi avevano chiamato in tanti modi, ma Raoul mai. Ti perdono solo perché fai degli arancini spettacolari!”

a cura di Vincenzo Russolillo




I Funghi: conosciamoli meglio

Considerati in passato “divisione del regno vegetale” come i muschi e le alghe, i funghi, negli ultimi decenni e dopo approfonditi studi sistematici, sono stati raggruppati in un proprio regno. Essi, difatti, sono detti eterotrofi poiché, a differenza delle piante, non hanno vita autonoma ma dipendono da altri organismi. Hanno inoltre, nel citoplasma delle loro cellule, come sostanza di riserva, il glicogeno e non l’amido.
La parete cellulare delle ife fungine è fatta di Chitina e non di Cellulosa: la chitina è presente negli esoscheletri di alcuni insetti e crostacei, mentre la cellulosa nelle piante, ragione per cui, fisiologicamente, essi sono più vicini al mondo degli animali che a quello dei vegetali. Le cellule dei funghi non contengono clorofilla, di conseguenza la luce solare non è per loro significativa, se non per pigmentazione della superficie pileica (cappello), che si differenzia all’interno della stessa specie.

L’assenza di clorofilla condiziona il modus vivendi del fungo che può nutrirsi in 3 differenti modi:

1)Per saprofitismo: quando ricava sostanza organica -vegetale o animale- da materie in decomposizione. Questa è una funzione molto importante in natura, attraverso la quale tutti i residui animali e vegetali si degradano preparando, in tal modo, ai microorganismi della putrefazione, il terreno necessario per la loro indispensabile opera di distruzione;

2)Per parassitismo: in questo caso il fungo si nutre di una sostanza organica, ma biologicamente già malata o danneggiata. Quindi, raramente, si comporta da vero parassita poiché la sua azione di attacco è sempre agevolata dalle condizioni biologiche è fisiologiche della pianta o dell’animale stesso;

3)Per simbiosi: quando il fungo avvolge con il suo micelio l’estremità dei peli radicali della pianta dalla quale ricava nutrimento, che autonomamente non potrebbe mai sintetizzare, perché privo di clorofilla. La pianta, di conseguenza, attraverso la micorriza, aumenta la superficie assorbente delle sue radici, migliora l’assorbimento degli elementi chimico-fisici contenuti nel terreno (acqua, sali minerali, ecc.), migliorando notevolmente la sua crescita. I funghi micorrizici sono molto importanti per la vita di un bosco, in quanto come precedentemente descritto, contribuiscono alla nutrizione e al benessere delle piante. Quindi per i suddetti motivi vanno rigorosamente protetti e non distrutti o scalciati anche se velenosi o non commestibili. È importantissimo rispettare tali leggi naturali per la futura sopravvivenza degli habitat boschivi.

Nei prossimi appuntamenti analizzeremo varie tipologie di funghi con le relative possibili applicazioni in cucina.

a cura di Vincenzo Russolillo




A Ischia la Convention Sebeto “L’Isola del Tesoro” 

Oltre 250 i partecipanti dall’Italia e dall’estero per sottolineare i valori fondamentali della strategia del gruppo che ha chiuso un anno con incrementi record e ha programmato 23 nuove aperture.

Esperienza, Formazione, Accoglienza. Sono le tre linee guida che hanno informato la Convention 2023 del Gruppo Sebeto, proprietario dei marchi Rossopomodoro, Rossosapore, Anema e Cozze, Ham Holy Burger
Tre parole d’ordine della filosofia di ristorazione che sono state amplificate dal gioco di ruolo L’isola del tesoro messo a punto dalla squadra marketing della Factory napoletana, capitanata da Clelia Martino e Simone Natali.

Più di 250 persone tra management, direttori dei punti vendita, partner commerciali, fornitori e giornalisti di settore si sono sfidati per dare sostanza alle tre voci indicate dal “Generale” Franco Manna, Fondatore e Presidente di Sebeto Spa.
Teatro delle operazioni, l’isola di Ischia che ha misurato la capacità di accoglienza nelle parole del Sindaco Giseppe Ferrandino salito per i saluti dal palco installato nel giardino della serra che ospita il nuovo Rossopomodoro.
Padroni di casa con Franco Manna i Soci Roberto Imperatrice e Pippo Montella, che hanno ringraziato tutti i presenti ed invitati ad un breve speech sia i partner food che gli extra food che accompagnano da tempo i movimenti di Sebeto e le nuove strategie di innovazione dei marchi. Sul palco si sono succeduti in ordine da Luca Milesi (Enel), Roberto Pinto (Peroni), Federica Corona (Masterpass), Antimo Caputo (Mulino Caputo), Gennaro Trasi e Giuseppe De Santis (Unipolsai).
Una convention “unconventional” che dal gioco ha preso spunto per cementare rapporti tra reparti e punti vendita sparsi sul territorio nazionale e all’estero: grande partecipazione della delegazione UK in veste di protagonista per numero di locali, capitanata da Daniele Di Martino e Mario Romano.

E poi ci sono i numeri che non sono stati freddi perché resi possibili proprio dalle persone intervenute. L’anno economico appena concluso ha visto un fatturato di 137,7 milioni di €, una performance che si accompagna alle previsioni di ulteriore aumento anche grazie alle nuove 23 aperture in programma da qui a fine dicembre. 
Evoluzione nel segno di una strada imboccata con successo 25 anni fa e che permette al Gruppo Sebeto di guardare con reale ottimismo al prossimo bilancio sociale. Sul piatto della bilancia tante innovazioni a partire dal ruolo formativo che i prossimi cambi menù rivestiranno per gli operatori Rossopomodoro.
E c’è innovazione anche nei sistemi di pagamento oltre che con il partner MasterCard, anche con il nuovo sistema di “paga al tavolo” chiunque potrà pagare direttamente dal tavolo senza fare nessuna fila alla cassa. 
Novità che rimpingueranno il parco clienti, oggi pari a 7 milioni e 100 Mila avventori (“in pratica 1 Italiano su 10 mangia in un nostro ristorante”, sottolinea il Presidente Manna), è il nuovo Rossosapore che rivede la sua formula street food, aprendo a raffica 15 locali in punti ad alto transito come le stazioni di servizio autostradali. 

Manicaretti speciali per la “cena di gala ” preparati dalla Brigata di Cucina di Sebeto con a capo i “sommi chef” Antonio Sorrentino e Enzo De Angelis, che hanno studiato piatti in linea con il programma: prelibatezze della cucina Caraibica con la fusione delle abitudini gastronomiche europee indigene e africane, oltre a classici della cucina italiana e partenopea. Apprezzato da tutti il gran lavoro della cucina grazie anche gli chef Massimo Passarelli, Gennaro Chiacchiera, Enzo Grasso, Michele Liquori, Pasquale Balbi. 
Due giorni soddisfacenti sotto tutti i profili”, ha dichiarato Franco Manna, “sono entusiasta e do appuntamento al prossimo anno”.

a cura di Vincenzo Russolillo




Il Caffè

Il primo pensiero del mattino? Una tazza di Caffè…

Chi di noi non si sveglia con quel pensiero? Chi lo prende a casa, chi al bar, chi amaro, qualcuno lo preferisce macchiato, ristretto, lungo, caldo, nessuno sembra possa farne a meno.
Intorno a questa bevanda “scura e puzzolente”, come qualcuno la definisce, si sono formate vere e proprie scuole di pensiero, università, associazioni, confraternite e poi infiniti dibattiti, modi di vivere e di condividere questa consuetudine che, in realtà, è un vero e proprio “culto”.
Il caffè non nasce come bevanda a Napoli ma come il babà, il pomodoro, la pasta e tanti altri prodotti, è in questa città che esplode e diventa “POP” contribuendo alla diffusione di questo rito in tutto il mondo.

Come il caffè arrivò a Napoli

Partendo dall’etimologia della parola, se ne traccia anche il percorso geografico: caffè deriva dall’arabo qahwa (eccitante), poi divenuto kahve in Turchia, terra dalla quale è approdato in Europa. La pianta è originaria dell’Etiopia e si diffonde in Arabia e Turchia. Fu Vienna la prima città europea ad apprezzare questa bevanda così piacevole, introdotta in loco nel 1665 dal pascià Kara Mahmud nel ruolo di ambasciatore turco alla corte di Leopoldo I, tanto da dedicarle alla fine del XVII secolo i Kaffeehaus, raffinati caffè viennesi dei quali ci sono ancora deliziose testimonianze. Nella splendida Napoli del periodo dei Borbone, il culto del caffè giunse con Maria Carolina D’Asburgo, figlia di Maria Teresa, divenuta moglie di re Ferdinando IV di Borbone nel 1768.

La diffusione nelle classi sociali meno abbienti iniziò solo agli inizi dell’‘800: fu solo allora, infatti, che la città si arricchì delle grida colorite di caffettieri ambulanti. Queste figure, ormai scomparse, percorrevano la città in lungo e in largo, muniti di due recipienti, uno pieno di caffè e l’altro di latte, e di un cesto con tazze e zucchero. I caffettieri, oltre a fornire una colazione veloce ai napoletani più affrettati, urlavano ogni giorno il nome del santo che si festeggiava, in modo che i più sbadati ricordassero anche di fare gli auguri ad amici e parenti.
In seguito fu comunque Napoli ad eccellere nella preparazione del caffè utilizzando una tostatura dei chicchi decisa, così da conferire un gusto ricco e cremoso in tazzina. L’arrivo poi della “cocumella nelle case dei napoletani favorì l’inserimento della bevanda nella cultura popolare: definita “la caffettiera napoletana”, anche se oggi quasi nessuno la usa più perché poco pratica rispetto alla moka, un po’ tutti amano averla in casa o regalarla.

A Napoli, inoltre, il caffè viene celebrato nella musica, nel cinema e nel teatro con canzoni, scene di film e addirittura nel celebre monologo di Eduardo De Filippo in “Questi Fantasmi”:

Sul becco io ci metto questo coppitello di carta… Pare niente, questo coppitello, ma ci ha la sua funzione… E già, perché il fumo denso del primo caffè che scorre, che poi è il più carico, non si disperde. Come pure, professo’, prima di colare l’acqua, che bisogna farla bollire per tre o quattro minuti, per lo meno, prima di colarla, vi dicevo, nella parte interna della capsula bucherellata, bisogna cospargervi mezzo cucchiaino di polvere appena macinata. Un piccolo segreto! In modo che, nel momento della colata, l’acqua, in pieno bollore, già si aromatizza per conto suo.

Ogni napoletano diventa quindi un alchimista del caffè: tutti hanno teorie, procedimenti e trucchi per preparare la bevanda, formatisi attraverso anni di preparazione e frequentazione di caffettiere e bar. Certo, c’è chi è più bravo e chi è meno bravo, ma quel che è certo è che il caffè entra a pieno titolo in ogni famiglia come elemento insostituibile e non c’è mattina o “post pranzo” in cui questa pratica non venga rinnovata.
Oggi non ci sono più carrettini ambulanti, la moka sta lasciando spazio alle cialde, ma il caffè, come duecento anni fa, serve ancora a creare legami, a confidarsi, a raccontare storie che senza quell’aroma e quell’odore forse non troverebbero la loro espressione.

Nun ce sta’ nien a fa’, o’ cafè è “social”!!!

a cura di Vincenzo Russolillo




Dispensa Italiana al Festival di Cannes

Non solo l’arte cinematografica, ma anche l’arte del gusto va in scena su la Croisette, nel terzo giorno del 70esimo Festival del Cinema di Cannes.
Questa mattina, all’Italian Pavillon, al Salon Marta dell’Hotel Majestic, Dispensa Italiana, con le sue specialità, ha fatto da cornice alla conferenza tenuta dalla LuCa, acronimo di Lucana Film Commission e Calabria Film Commission, che simboleggia l’accordo tra Basilicata e Calabria per il Nuovo Cinema Meridionale. I direttori della Film Commission lucana, Paride Leporace, e calabrese, Giuseppe Citrigno, hanno presentato i contenuti dell’accordo di gestione del fondo creato da Martin Scorsese per sostenere registi emergenti, che si appresta ad essere rinnovato per un nuovo bando. Alla platea di giornalisti, critici cinematografici e addetti ai lavori intervenuti alla presentazione del progetto, Fofò Ferriere ha fatto gustare tutto il meglio dell’enogastronomia che questi due regione, Basilicata e Calabria, producono.

“Sono territori ricchi di eccellenze, per cui è stato davvero semplice comporre i piatti da presentare al Festival di Cannes”, afferma Fofò Ferriere, “abbiamo portato ingredienti semplici, genuini che, in accordo con la nostra filosofia, non sono manipolati né, quindi, maltrattati”.
Ed è proprio commentando l’esperienza appena conclusa oltralpe che Fofò, ribadisce una citazione dello chef francese Paul Bocuse a lui cara, che ha più volte ricordato quando, nelle varie tappe italiane del concorso gastronomico mondiale Bocuse d’Or, lo chef Luigi Cremona ha fatto tappa a Casa Sanremo (di cui Fofò Ferriere è responsabile gastronomico, ndr): “L’egemonia della cucina francese finirà quando gli chef italiani avranno la consapevolezza della ricchezza dei loro prodotti e delle loro tradizioni. Ecco perché noi, che sembriamo i parenti poveri, se conosciamo i nostri prodotti e territori, sia come cibo che come turismo, e riusciamo a trasmetterli potremo rendere la nostra Nazione capofila di cose incredibili ed è questa filosofia che metto in pratica ogni giorno, ma sempre e sempre più quando vado fuori del mio territorio, proprio come oggi a Cannes”.

a cura di Vincenzo Russolillo




Il Baccalà

Il pesce dalla doppia vita: una da merluzzo del Mare del Nord, la seconda sulle nostre tavole dopo una resurrezione che lo trasforma, a seconda dei metodi di lavorazione, in Baccalà o Stoccafisso. Un pesce dai mille volti, in grado di trasformarsi in piatti prelibati ed essere inserito in infinite ricette. Basti pensare che i portoghesi hanno 366 ricette ufficiali con ingrediente il baccalà che coprono tutti i giorni di un anno, anche se bisestile.

La procedura di salagione del baccalà (dalla parola basso tedesca bakkel-jau che significa “pesce salato”) sembra si debba  attribuire ai pescatori baschi che, seguendo i branchi di balene e arrivati al Mare del Nord, si imbatterono in enormi banchi di merluzzo verso l’isola di Terranova, ne catturarono in grandi quantità e usarono per questo pesce il procedimento di conservazione già utilizzato per la carne di balena.
Per quanto riguarda lo stoccafisso (dal norvegese stokkfisk, ovvero “pesce a bastone”)invece sembra che i metodi di preparazione risalgano a molti secoli fa, addirittura al 1200, ed al modo di conservazione utilizzato dai pescatori delle isole Lofoten, in Norvegia. In queste zone, tra febbraio e aprile, migra il merluzzo artico norvegese (gadus morhua) per deporre le uova. Catturato in grandi quantità, veniva messo sui supporti e lasciato all’aria aperta e qui il clima freddo e secco, tipico di quei mesi nella penisola scandinava, costituiva un ambiente ideale per essiccare il pesce e proteggerlo dagli insetti e dalla contaminazione batterica.
I metodi di lavorazione del baccalà e dello stoccafisso, come abbiamo visto, prendono strade diverse. Anche la materia prima può differire: infatti per il baccalà può essere usata sia la tipologia “gadus macrocephalus” che “gadus morhua” mentre per lo stoccafisso invece la razza specifica è la “gadus morhua”.

Fasi di lavorazione del baccalà:

  1. Pulitura: prima di tutto, il merluzzo viene attentamente pulito e lavato in acqua corrente
  2. Salatura: dopo essere stato pulito, il merluzzo passa alla salatura. In questa fase, il pesce viene collocato in grandi casse e ricoperto di sale
  3. Cambio di posizione: ogni 4-5 giorni il merluzzo viene rigirato e cambiato di posizione. Durante questa operazione, il pesce perde l’acqua in eccesso e assorbe completamente il sale
  4. Controllo qualità e selezione: mentre si effettua il cambio di posizione del merluzzo, si controlla anche la qualità e si opera una selezione del pesce
  5. Classificazione e imballaggio: dopo circa tre settimane, il processo di salatura è completo e il baccalà è pronto per essere classificato e imballato

Fasi di lavorazione dello stoccafisso:

La lavorazione è paragonabile a quella di altri prodotti alimentari invecchiati, come i liquori, i prosciutti o i formaggi. Il pesce viene preparato immediatamente dopo la cattura. Dopo averlo decapitato e pulito, viene essiccato intero o aperto lungo la spina dorsale, lasciando le metà unite per la coda viene essiccato all’aperto, grazie all’azione del sole e del vento, su apposite rastrelliere. Il perfetto equilibrio tra sole e vento artico ha un ruolo fondamentale, perché il pesce si deve essiccare in modo uniforme. Inoltre, durante il periodo di essicazione si effettuano costanti controlli sulla distanza tra un merluzzo e l’altro. Questo perché la distanza deve essere tale da far circolare l’aria e far sì che non si formino macchie, muffa o residui di sangue che ridurrebbero la qualità del prodotto finale.

Veniamo adesso a come questi prodotti si diffondo in Italia e in Campania:

Lo stoccafisso sarebbe stato introdotto nel Triveneto dai veneziani, che erano grandi navigatori e portavano in patria ogni novità. La più diffusa versione dei fatti sostiene che, nel 1432, la spedizione agli ordini del capitano veneziano Pietro Querini naufragò in Norvegia, sull’isola di Rost. Rientrando a casa, il Querini portò lo stoccafisso, che nel Triveneto è tuttora chiamato baccalà. I veneziani videro nello stoccafisso un’allettante alternativa al pesce fresco, costoso e facilmente deperibile. Nacque allora la tradizione di consumare questo piatto secondo varie ricette, tra le quali il “baccalà alla vicentina”.

Risale invece al 1500 ed ai primi affari sulle rotte marittime tra produttori vesuviani e del Nord Europa, l’arrivo del Baccalà in Campania  e sembra che i napoletani usassero  mettere in ammollo le famose “scelle” nelle acque delle sorgenti del fiume Sebéto a ridosso del Monte Somma.
Ritornando alla sua diffusione in Campania, quest’ultima venne favorita grazie alla Controriforma cattolica che vietava il consumo di carne nelle feste comandate. Il baccalà divenne una delle prime alternative alla carne e prese piede anche e soprattutto nei dintorni del capoluogo, grazie anche ai monaci di Madonna dell’Arco, che tra Sant’Anastasia e Somma insediarono e utilizzarono le prime vasche adatte ad «ammollare» il pesce, dunque a farlo rinvenire per essere poi lavorato e messo in commercio come un prodotto fresco.
Da allora il baccalà e lo stoccafisso sono entrati di prepotenza nella cucina napoletana, diventando uno dei piatti simbolo del Natale ed una delle pietanze più amate dalla tradizione  popolare.
Somma Vesuviana è la capitale del baccalà, i rapporti che ha consolidato con Norvegia e Islanda, la rendono la maggiore realtà produttiva del Mezzogiorno, insidiata in Italia solo da Veneto e Marche.
Qui si trovano infatti le più grandi aziende italiane d’importazione e di conservazione di baccalà che è riuscito a rendere più gustosa la tavola delle case più povere con il “mussillo” o con il “curuniello”, cioè il dorso e la pancia del merluzzo.

Stocco “arrecanato” con patate, baccalà all’insalata, linguine e baccalà e naturalmente baccalà fritto sono alcuni esempi di come la fantasia partenopea abbia inserito il baccalà nelle sue ricette e di come la tradizione del consumo di questo cibo mieta sempre più seguaci…

Buon Appetito!!!

a cura di Vincenzo Russolillo