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La Giuria dei Pomodori elegge il suo vincitore del Festival

Questo pomeriggio, a Casa Sanremo, abbiamo avuto il piacere di ospitare il Maestro Beppe Vessicchio che, accantonate le polemiche della sua mancata partecipazione al Festival, ci ha parlato dei suoi studi che riguardano la musica e i pomodori, e di come la prima influenzi i secondi.
Ad una platea scettica, aiutato da una simpatica clip realizzata insieme ai The Jackal, Vessicchio ha spiegato come il modo in cui si aggregano le molecole dei pomodori, pur restando invariabili, è suscettibile alle frequenze della musica armonico-naturaliChecché se ne dica quindi, anche i pomodori hanno “gusti e preferenze musicali”.

La ghiotta occasione di avere il Maestro Vessicchio a Casa Sanremo, quindi, ci ha dato lo spunto per dar vita, insieme al nostro Fofò Ferriere, grande esperto ed estimatore di questo ortaggio, al primo Brix Factor della storia: dopo aver sentito, nel corso degli anni, le opinioni di giuria demoscopica, giuria della stampa, televoto, giuria di esperti ecc. abbiamo voluto dar vita alla “Giuria dei pomodori”, la prima giuria di ortaggi del Festival di Sanremo. Il verdetto è arrivato dopo l’osservazione delle reazioni dei pomodori all’ascolto delle canzoni in gara al Festival, misurandone acidità e consistenza.
A vincere questo particolare premio i Negrita che, come ha detto lo stesso Maestro, hanno spiccato di poco ma hanno vinto su tutti gli altri. Anche i pomodori quindi hanno una preferenza di tipo armonico sebbene, come chiosa Vessicchio: “Non c’è giuria che non abbia un pregiudizio”.

a cura di Vincenzo Russolillo




Casa Sanremo – Educational Pizzeria Day1

Vi abbiamo già parlato nei mesi scorsi di come l’Arte del Pizzaiolo sia stata riconosciuta quale patrimonio dell’Unesco: in attesa dell’appuntamento di domani a Casa Sanremo, alle 18, dove con Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente della Fondazione UniVerde, già Ministro delle Politiche Agricole e dell’Ambiente, Jimmy Ghione di Striscia la Notizia, Sergio Miccù, nel comitato che ha promosso l’iniziativa con l’Associazione Pizzaiuoli Napoletani di cui è Presidente ed Antonio Pace, Presidente e Fondatore dell’Associazione Verace Pizza Napoletana, ci sarà una vera festa per celebrare questo riconoscimento, i Maestri Pizzaiuoli che, in quest’edizione, gestiscono la Pizzeria di Casa Sanremo, giorno dopo giorno, ci intratterranno con degli educational interamente dedicati a quest’arte.

Come fare una buona pizza fatta in casa

L’appuntamento di oggi, in cui abbiamo visto alternarsi ai microfoni di Cataldo Calabretta e Roberta Morise i pizzaioli Giuseppe Celio e Valentino Libro, ha riguardato i segreti della pizza fatta in casa.
Con il pubblico di Casa Sanremo e con tutti coloro che seguono il format da casa, i due Maestri ci hanno svelato delle curiosità, delle piccole “tip” da tenere a mente per realizzare, anche nelle nostre cucine, una pizza molto simile a quella delle migliori pizzerie.

Gli ingredienti, ovviamente, sono selezionati tra le migliori eccellenze che la Campania offre: pomodorini del Piennolo, datterini gialli, mozzarella di bufala, basilico, e l’immancabile olio extravergine di oliva, ma tutto deve partire da un impasto buono e leggero.  Come hanno svelato i Maestri, uno dei segreti per ottenere un impasto molto digeribile è sicuramente una lunga lievitazione (non meno di 8 ore), che lasci il tempo al lievito di fare il suo dovere e, soprattutto, che eviti quella fastidiosa sete che può coglierci quando mangiamo una pizza nel cui impasto i lieviti non hanno fatto bene il proprio lavoro.

Se a casa l’unico mezzo a disposizione per cuocere la pizza, poi, è il nostro forno elettrico, possiamo aiutare l’impasto aggiungendo, dopo il sale, un goccino di olio, sempre extravergine di oliva, e circa e 7/8 gr di zucchero.

Dopo aver impastato tutti gli ingredienti, quando il nostro composto risulta liscio, possiamo porlo a riposare in un recipiente coperto in cui non deve passare l’aria. Una volta diventati più esperti, poi, si può anche tentare un impasto “più idratato”, più leggero, aggiungendo più acqua, togliendo un po’ di farina.

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A Casa Sanremo il pane Grande Impero di nuovo protagonista

Da tempo al fianco di Gruppo Eventi, non solo a Casa Sanremo ma in tante altre occasione di hospitality nei grandi eventi, curate dal Consorzio, da Miss Italia ai Nastri d’Argento, Grande Impero, azienda romana condotta con successo e con amore da una coppia che si ama anche nella vita, Antonella Rizzato e Stefano Fancello, torna a Casa Sanremo con tante novità, come ci racconta Antonella in quest’intervista:

Grande Impero da tempo è al fianco di Gruppo Eventi nelle hospitality dei Grandi Eventi Italiani e, per la quarta volta, sarete a Casa Sanremo: quali novità ci saranno quest’anno?

Tutti i nostri interventi pubblici, tra cui Casa Sanremo, sono volti a diffondere e a far capire ai consumatori, la filosofia che sta dietro al nostro lavoro: ogni giorno ci impegniamo per creare un prodotto sano, genuino, fatto solo ed unicamente con farine selezionateacqua e sale marino. È importante ribadire che nei nostri pani non si troveranno mai miglioratori ma solo Pasta Madre ultradecennale, elemento importantissimo della lavorazione artigianale di un pane che, prima di essere cotto, lievita naturalmente per più di 30 ore.
Per gli ospiti di Casa Sanremo, poi, porteremo la nostra novità, il Grande Impero 8 semi, un pane integro e salutare che unisce alle sue caratteristiche, segale, sesamo, girasole, papavero, lino scuro e giallo, farro e grani di frumento. Altamente ricco di antiossidanti, vitamine e minerali, morbido e saporito, la forza di questo prodotto risiede sicuramente nei semi che siamo riusciti ad integrare al nostro impasto di base, sempre a lavorazione naturale, risultando un vero toccasana per l’intestino.

In occasione del Festival avete ideato anche il concorso “Con Grande Impero vinci #Sanremo”: ci parla di quest’iniziativa?

Il concorso, partito a dicembre, fino al 22 gennaio dava la possibilità, a chiunque acquistasse pane Grande Impero in uno dei supermercati di una catena nostra partner, di ritirare un coupon e tentare la fortuna: in palio c’erano 2 biglietti per il Teatro Ariston, 1 pernottamento in Hotel 5*L e 2 pass per Casa Sanremo, per la Vip Lounge.
Abbiamo ideato questo concorso con la grande volontà di premiare i nostri consumatori, un modo per dire loro “Grazie”. E, poi, ci è piaciuto tanto abbinare il nostro marchio alla grande “eccellenza” italiana che è Sanremo, una bellissima kermesse entrata ormai a far parte della nostra cultura, giunta ormai alla 68esima edizione.
Sarò contenta di conoscere la nostra vincitrice a Sanremo, di vedere l’emozione sul suo viso. Allo stesso tempo, abbiamo deciso di premiare anche il buyer della catena che ha creduto al lancio, il titolare dei 10 punti vendita, che durante tutto il concorso ci hanno dato sempre grande disponibilità.

Cosa vi aspettate da quest’edizione di Casa Sanremo?

In cantiere abbiamo tanti progetti imminenti e importanti ma teniamo sempre ben presente l’essenza della nostra azienda: ambiamo a volare in alto senza mai dimenticare, però, da dove siamo partiti. Siamo felici di aver riconfermato questa collaborazione con l’hospitality del Festival perché crediamo in quest’iniziativa e all’intera organizzazione di Casa Sanremo e, perché no, potrà essere un’altra occasione di espansione per il nostro mercato.

A proposito di espansione, in questi ultimi anni, quali novità hanno interessato la vostra azienda?

Possiamo dire che, negli ultimi quattro anni il nostro trend è stato sicuramente di crescita: siamo una realtà che sta crescendo e si sta espandendo, e in parte questo è accaduto anche all’esclusiva vetrina di Casa Sanremo. Mi piace ribadire, però, che abbiamo sempre come punto di riferimento la nostra mission: unire i saperi della tradizione alla semplicità di ingredienti naturali, per offrire ogni giorno il vero pane italiano.

Un pane a lievitazione naturale di Pasta Madre che si distingue anche grazie al bollino…

Sì, in questi anni ci ha sempre guidato una grande etica nel produrre, ogni giorno, il vero pane come si faceva una volta. Abbiamo avuto il coraggio di proporlo sul mercato, un mercato che ci sta dando ragione, visti i risultati che abbiamo raggiunto.
Tutto questo è possibile grazie al fantastico Team Grande Impero che, obiettivo dopo obiettivo, lavora con entusiasmo, passione e dedizione al nostro fianco.

 




A Casa Sanremo si celebra l’arte del pizzaiuolo, patrimonio dell’Umanità

Sei maestri pizzaioli, campani, giovani e molto social

Un Educational al giorno per scoprire le eccellenze del settore

Per la prima volta a Casa Sanremo, dal 4 al 10 febbraio, una pizzeria napoletana aperta al pubblico delizierà gli ospiti durante tutta la settimana del Festival della Canzone Italiana.

La verace pizza napoletana è sempre stata protagonista a Casa Sanremo, in uno spazio riservato ad artisti, giornalisti e addetti ai lavori. La novità è che quest’anno si allestirà, al terzo livello della Casa, una pizzeria per accogliere le oltre 73000 persone che affollano l’hospitality della kermesse sanremese.
Sono stati selezionati 6 maestri pizzaioli, tutti campani, talentuosi e molto social; giovani hipster della farina capitanati da Angelo Pezzella, che si alterneranno ogni giorno ai banchi della pizzeria di Casa Sanremo, e all’interno del Roof, l’esclusivo ristorante riservato ai ospiti VIP di Casa Sanremo, in cui si esaltano le eccellenze gastronomiche italiane.

La pizzeria di Casa Sanremo sarà affiancata da Molino Caputo, Olitalia, La Rosina, Schär, ed altre eccellenze che nelle ultime ore si stanno proponendo per affiancare la pregevole iniziativa. Aziende che saranno protagoniste ogni giorno durante gli Educational che si terranno nel Teatro Ivan Graziani, dove il pubblico sanremese avrà la possibilità di conoscere “da vicino” le caratteristiche specifiche dei prodotti e delle attrezzature utilizzate dai maestri pizzaioli, ed apprezzarne la qualità.

Non è semplice raccontare la lunga esperienza e bravura della verace “orchestra” dei pizzaioli, composta da: Angelo Pezzella, abbandonato il suo mestiere di incastonatore di brillanti per rincorrere il sogno di artista pizzaiuolo, è Medaglia d’Oro della Rossopomodoro Cup 2015 e proprietario della pizzeria sull’Appia Nuova a Roma che porta il suo nome; Valentino Libro, con una vocazione estera grazie anche alla sua felice esperienza in Turchia, proprietario del brand 33Libros con due pizzerie nelle province di Napoli e Caserta e Campione Mondiale stg 2014; Salvatore Lioniello, con la sua pizzeria Da Lioniello di prossima apertura a Succivo (CE), è tra i giovani pizzaioli della nouvelle vague della pizza napoletana contemporanea, famoso per la sua pizza #diversamentenapoletana e le collaborazioni televisive a TV 2000; Pino Celio, vincitore del Premio Pizza/Pala al Campionato Mondiale del Pizzaiolo 2016 e proprietario della pizzeria Lucignolo BellaPizza nel centro di Napoli, d’ispirazione moderna e newyorchese; Vincenzo Capuano, pizzaiolo napoletano da 3 generazioni e Campione Mondiale Pizza Napoletana per azienda, ha avviato più di 15 locali nel mondo per Rossopomodoro; Gennaro Russo, cresciuto con le mani in pasta nella storica pizzeria Dal Presidente nel centro storico di Napoli, è terzo posto al 32esimo Pizza Expo a Las Vegas.

Con lo straordinario talento dei sei maestri pizzaioli e la decennale esperienza di ospitalità di Casa Sanremo, si porterà al Festival tutto il fascino, la professionalità e l’arte del pizzaiuolo, patrimonio dell’Umanità.

 

 

 

 




Dispensa Italiana al 25esimo Concerto di Natale

Per il quarto anno consecutivo, Dispensa Italiana ha curato la cena di gala che ha fatto seguito al celebre Concerto di Natale, giunto alla 25esima edizione e in onda questa sera su Canale5. A guidare la nostra brigata, ancora una volta, c’è lo Chef Antonio Cascone, consigliere dell’Unione Regionale Cuochi della Campania che, oltre a coordinare l’intero servizio, si è occupato in prima persona della fantastica torta che ha concluso la cena degli oltre 500 ospiti. In quest’intervista ci racconta tutti i dettagli:

Anche quest’anno, a Villa Aurelia, ti è stato affidato il prestigioso compito di coordinare la cena di gala del Concerto di Natale: ci presenti il tuo team?

Con me c’era la mia fidata collaboratrice, Fabiola Garofalo, che è un po’ la Lady Chef di Dispensa Italiana se vogliamo. A lei ho affidato il secondo piatto, una millefoglie di pesce azzurro su un letto di un verdure. Gli altri tre Chef di partita, invece, Antonio Cioffi e Antonio Mascolo, hanno curato rispettivamente gli antipasti e il primo piatto, uno sformatino di riso carnaroli alla pescatora.
Mario Starace, invece, è stato il responsabile dei buffet che abbiamo allestito in Vaticano, per tutti gli ospiti delle prove del concerto (cantanti musicisti ecc.) e, poi, per la sera dell’esibizione, durante l’after riservato ai musicisti.
Per questi ultimi due servizi abbiamo preparato piatti semplici ma gustosi. Possiamo dire che tra i protagonisti c’è stato un nostro partner di vecchia data, Pasta De Cecco, con cui, la prima sera abbiamo realizzato uno sformatino Vesuvio (sedanini in un timballetto a base di sugo di pomodoro, mantecati con verdure e formaggio) e, poi, la seconda sera un timballetto di pasta e patate, in onore alla tradizione partenopea.

Per la cena di gala, invece, quali prodotti sono stati utilizzati?

Per l’entrée abbiamo portato a Roma una selezione di Formaggi del Caseificio San Leonardo, ricottine e ciliegine di bufala, insieme a dei mini caciocavalli, accompagnati da dei petali di salumi firmati Gli Autentici – Salumificio Reggiano.
Durante tutta la cena, a disposizione degli ospiti c’è stata una selezionata gamma di pani Grande Impero e, per concludere in bellezza, una buona tazzina di Caffè Motta.

Sappiamo che ti sei occupato del coordinamento generale ma, viste le tue origini di pasticciere, immaginiamo anche che hai curato la torta in prima persona: ce la descrivi?

Per gli ospiti di Villa Aurelia ho realizzato una millefoglie con crema pasticcera, amarene e scaglie di cioccolato, per un totale di oltre 50 kg, allestiti in un’unica torta gigante di 1,20 mt per 1,20 mt, presentata però in modo semplice, senza decorazioni di panna o pasta di zucchero, ma soltanto dello zucchero a velo e, naturalmente il logo del 25esimo Concerto di Natale, più qualche stella di Natale per restare in tema di atmosfera natalizia.
Aggiungo che, anche se ormai è la mia quarta volta in quest’evento, è sempre una bella esperienza, impegnativa ma soddisfacente, soprattutto quando, come quest’anno, portiamo a casa un gran bel risultato.

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Fofò Ferriere al Gustus di Napoli

Nella giornata inaugurale della 4a edizione di Gustus Napoli, il nostro Fofò Ferriere, incaricato da Zanussi Professional, ha raccontato come “La semplicità della cucina partenopea incontra la tecnologia Zanussi”.
Nell’unico Salone Professionale dell’agroalimentare, dell’enogastronomia e della Tecnologia del Centro Sud Italia, in scena fino a domani alla Mostra d’Oltremare, Fofò ha illustrato le ricette della tradizione napoletana, condite da aneddoti, curiosità e spunti interessanti molto graditi al pubblico in sala.

Alla manifestazione, che annovera il partenariato del Ministero per le politiche Agricole, le 120 aziende coinvolte sono distribuite in oltre 6mila mq di esposizione che contano ben  40 Buyers Internazionali da Austria, Belgio, Croazia, Estonia, Finlandia, fino a Paesi Bassi, Regno Unito, Serbia, Slovenia, Svezia, Turchia, Ungheria.

Per Fofò è stato un grande successo di pubblico, letteralmente catturato dai suoi  “Racconti”, in cui si uniscono sempre storia, cultura e folklore del cibo italiano!

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Pizza

Fritta o cu ‘a pummarola, ‘a pizza è più di una pietanza: è un modo di essere, di mangiare, di vivere.
Più del tè, del caffè o del cioccolato, che sono stati i primi veri alimenti globali, è stata il primo prodotto internazionale, si potrebbe azzardare che la pizza ha dato il via alla globalizzazione.
Più del Vesuvio o della canzone napoletana, pure famosa in tutto il mondo, e forse anche più della pasta, è il vero simbolo della Città di Napoli. La pizza esiste da sempre, ma è quella fatta a Napoli che ha conquistato tutto il mondo divenendo il primo piatto universale.

I napoletani si dividono tra quelli che la preferiscono fritta, “il male buono”, come la chiama Fabrizio Mangoni, l’architetto e urbanista gastronomo autore di uno dei più bei libri sulla pasticceria napoletana: “Dolcipersone” (Guida, 1966) e coloro che sono fedelissimi alla pizza al forno: marinara, margherita o calzone (il ripieno). Ancora oggi, camminando per le strade di Napoli, è possibile imbattersi nelle friggitore o nei friggitori, i precursori dei moderni pizzaioli, che preparavano ottime pizze fritte nei loro stufaruoli di rame. Non tutti potevano permettersi una pizza fritta, e così si accontentavano delle pizzelle, un piccolo disco di pasta di pizza fritta, condita solo con un pizzico di sale, con salsa di pomodoro e origano o un tocchetto di fiordilatte. È quella oggi conosciuta come “montanara” e che, in molte case napoletane, si prepara sovente anche come sfizio.

Fino a poco più di mezzo secolo fa, ben oltre gli anni ‘60, era consuetudine mangiare la pizza per strada, come rigorosamente bisognerebbe fare con gli street food. Le pizzerie erano un lusso da concedersi nei giorni di festa o in occasioni di ricorrenze e così, a Napoli, per secoli la pizza la si è mangiata a libretto (o portafoglio), cioè ripiegata in quattro e avvolta in un pezzo di carta da salumiere. E quando proprio non si riusciva a resistere alla bontà di una pizza, la si poteva pagare “a otto”, cioè otto giorni dopo averla mangiata.

Prima di essere utilizzato univocamente per indicare la pizza come la conosciamo oggi, questo termine era utilizzato principalmente per torte, dolci e salate, come la pizza crema e amarena, l’antesignana del pasticciotto crema e amarena, oppure l’antichissima pizza di scarole. La pizza deve il suo successo alla bontà del prodotto, innanzitutto, alla sua economicità, e facile reperibilità, ma anche grazie prima alle decine di canzoni che la decantavano, poi alla televisione e al cinema, dov’è stata protagonista di numerosi film. Curiosamente, però, la canzone più famosa sulla pizza l’ha scritta un milanese doc, Alberto Testa, poi cantata e portata al successo da Renato Carusone e da Gaber:

io te ‘ncuntraje
volevo offrirti
pagandolo anche a rate
nu brillante
‘e quínnece carate

ma tu vulive ‘a pizza ‘
a pizza, ‘a pizza
cu ‘a pummarola ‘ncoppa

Tutti i grandi autori della canzone napoletana hanno cantato la pizza:

1896 – ‘O pizzaiuolo nuovo (Capurro/Gambardella);
1902 – ‘A pizzaria ‘e Don Saveratore (Di Giacomo/Valente);
1908 – ‘O pizzaiuolo (Fiordelisi/Mazzone);
1947 – ‘A canzone d”a pizza (Garofalo/E. A. Mario);
1948 – ‘A pizza c”o segreto (E. A. Mario);
1955 – Sophia (Caputo/Framel);
1957 – ‘A pizzaiola (Casolini/Bonafede); – Cardulella (Furnò/Oliviero); – ‘A pizza c”a pummarola (Pazzaglia/Modugno);
1966 – ‘A pizza (Testa-Martelli)

Appuntamento alle prossime pietanze…

Fofò Ferriere
Giancarlo Panico

Foto © Pixabay.com/SalvatoreMonetti




La scarpetta

Dal Dizionario Treccani online e dal Grande Dizionario della Lingua Italiana che la riporta nell’italiano scritto solo nel 1987: «raccogliere il sugo rimasto nel piatto passandovi un pezzetto di pane infilzato nella forchetta, o più comunemente tenuto tra le dita».
La ricordi da bambino la “scarpetta”, quando la domenica mattina, senza farti vedere da mammà, intingevi il pane nella pentola dove “pappuliava” il ragù, e la riporti all’età adulta dove alla fine di uno spaghetto al pomodoro, quasi come un gesto innato, un rituale, prendi il pane e lo fai scivolare nel piatto per recuperare il sugo avanzato.

Gesto di piacere, a cui difficilmente si rinuncia, una sorta di prolungamento di emozione per aver gustato una pietanza particolarmente buona e che avresti preferito non finisse.
Siamo in tanti che al piacere della “scarpetta” non rinunciano, facciamo parte di quella schiera di buongustai che nel cibo cercano il piacere, l’atto consolatorio, il momento in cui alleviare le tensioni con un rituale che racchiude in sé il senso del “godere della vita”.

Tornando all’origine dell’espressione, essa non è proprio chiara. Non si sa quando sia nata perché fa parte del linguaggio comune parlato. C’è chi pensa che la scarpetta rimandi a un tipo di pasta alimentare di forma concava che avrebbe favorito perciò la raccolta del sugo residuo nella scodella o nel piatto, chi invece ritiene sia attribuibile al gesto familiare ma poco elegante dell’espressione, si rifà all’oggetto scarpetta, di solito leggera e sottile, per indicare un’azione compiuta da un “morto di fame”. Non mancano spiegazioni più impegnate: alcuni la attribuiscono alla Siria dove in passato il pane aveva la forma di scarpa perché veniva lavorato e battuto con i piedi e infornato subito dopo, questo pane veniva poi inzuppato nelle minestre di polpa di melanzane con verdure”. Altri, sottolineando l’origine meridionale della locuzione, “scarsetta”, cioè povertà, che costringe ad accontentarsi di quello che è avanzato nei piatti altrui, da raccogliere come fa una scarpa che struscia sul suolo.

Ma la scarpetta è opportuna a tavola?

Il galateo dice che la scarpetta non è proibita ma vuole che si faccia solo in occasioni informali e usando la forchetta e non le mani. Ma diciamo la verità, una scarpetta non infastidisce nessuno. Quando siamo tentati dall’idea, di solito a tavola aspettiamo che qualcun altro compia il gesto per poi seguirlo a ruota e… abbasso il galateo!

Schiere di chef si sono battuti in difesa di questo gesto in questi anni e non sono mancate vere e proprie iniziative gastronomiche volte alla sua valorizzazione. Il Maestro Gualtiero Marchesi ha sempre detto che non c’è nulla di più soddisfacente per uno chef di un piatto che torna in cucina pulito, perché il cliente lo ha letteralmente asciugato col pane fino all’ultima goccia.
Insomma la “scarpetta” è una filosofia di vita, un piacere per le papille gustative e un appagamento per il nostro cervello.
Da oggi in poi, nel fare la scarpetta a fine pranzo ricordatevi di tutto questo e… “celebrate il rito”!

Buon Appetito!!!

Fofò Ferriere
Gennaro Fierro




CAVULUCIORE (Cavolfiore)

Pasta e cavoli si cucina con il pomodoro o senza?
Da almeno due secoli questo interrogativo accompagna uno dei piatti storici della cucina napoletana e oggi di quella italiana. Considerati sacri nell’antichità, venivano consumati crudi dai romani, prima dei banchetti, per far assorbire meglio l’alcool; i greci invece erano soliti utilizzarli come curativo della sbornia.

Usato per secoli come pianta curativa, nel 1600 il brodo di cavolo era consigliato per guarire e prevenire patologie polmonari, ma anche raffreddori, laringiti e reumatismi. Solo tra la metà del ‘700 e l’inizio dell’800, il cavolfiore inizia ad entrare in cucina, divenendone subito uno dei protagonisti indiscussi.
A minestra, con la pasta, lessi e in insalata, i cavoli diventano uno degli alimenti preferiti dai napoletani.

Le cronache del Regno delle Due Sicilie ricordano che tutto attorno alla città di Napoli “era come un grande orto”, e nel 1787 ogni giorno “in città arrivavano grandi quantità di verdure fresche”, tra cui abbondavano i cavolfiori e le torselle. Sin dalla metà del 1700 e per oltre un secolo, i territori della zona Vesuviana, dove i cavoli crescevano rigogliosi grazie alle fertilità del terreno lavico, hanno consentito al Regno delle due Sicilie di essere primo produttore europeo. Quei cavuluciori erano coltivati a Nord e Sud della città alla falde del Vesuvio, tanto che San Giorgio a Cremano, molto probabilmente, deve il suo nome proprio alle coltivazioni estensive di cavolo. La città del compianto Massimo Troisi, infatti, nasce dall’unione di due borghi, San Giorgio, che deve il nome alla venerazione dell’omonimo santo e Cambrano che secondo diverse fonti deriva dal latino arcaico “cambre” che significava proprio “cavolo” dalla fiorente coltivazione di questo ortaggio.

Ma i cavoli si mostrarono molto utili soprattutto alla fine del ‘400 quando, in seguito alla scoperta dell’America, iniziò l’epoca dei viaggi esplorativi. Navigando per lunghi periodi senza avere la disponibilità di cibi freschi, infatti, i marinai avevano sempre a bordo una grossa scorta di cavoli, molto utili per contrastare lo scorbuto, una malattia causata dalla carenza di Vitamina C. Il Capitano James Cook, uno dei più grandi navigatori ed esploratori della storia, durante tre anni di navigazione, in tutte le latitudini e a tutti i climi, non perse nessuno dei suoi 118 uomini dell’equipaggio, dal momento che faceva mangiare loro cavoli cotti o crudi.
I cavuluciori sono l’ingrediente principale anche della famosainsalata di rinforzo” in cui il cavolo, un alimento fondamentalmente “povero” e leggero, viene “rinforzato” con ortaggi sott’aceto come carote, sedano, finocchi e cetrioli, olive bianche e nere, capperi e qualche acciuga salata. Dalle origini incerte, molto probabilmente il Cavalcanti, nella sua “Cucina teorico-pratica”, con il termine “caponata” si riferiva proprio agli ingredienti dell’insalata di rinforzo. Sembra un piatto semplice da preparare eppure a Napoli, e più in generale in tutta la Campania, al pari del ragù o della pastiera, per citare due ricette tradizionali, la sua ricetta e preparazione è ancora oggi molto dibattuta: ognuno ha la sua tecnica che si tramanda da generazioni e quella propria è la migliore.

Almeno tre sono le leggende, o comunque le storie, raccontate in merito a questa squisita pietanza e che provano a dare una spiegazione al nome senza dubbio originale. La più diffusa è quella secondo la quale è detta “di rinforzo” perché, a partire dalla vigilia di Natale, man mano che viene consumata, è usanza “rinforzarla” con gli ingredienti mancanti, ma anche arricchirla con sapori nuovi. Perché è un piatto che, seppur preparato rigorosamente il 24 dicembre, accompagna tutto il periodo natalizio e la presenza dell’aceto preserva la qualità degli ingredienti per più giorni.
Un’altra teoria, invece, fa riferimento al fatto che originariamente l’insalata di rinforzo era una pietanza prevista esclusivamente per il cenone della vigilia di Natale, per tradizione magro, molto leggero, composto solamente da qualche pietanza di pesce. Dunque, la funzione dell’insalata era appunto quella di “rinforzare” la cena rendendola più sostanziosa. La terza motivazione è quella secondo la quale l’insalata, servita come antipasto, aiuta ad aprire lo stomaco, a “rinforzarlo” e prepararlo ad accogliere tutte le altre portate. Molto gustosa e ricca di sapori, ha un sapore deciso grazie anche alla presenza delle cosiddette “papacelle”, peperoni tondi leggermente piccanti conservati sott’aceto, talvolta ripieni. Il piatto si presta ad infinite varianti e infatti ogni famiglia ha la propria ricetta: c’è chi ad esempio aggiunge la scarola, chi invece il capitone avanzato.

Appuntamento alle prossime pietanze…

Fofò Ferriere
Giancarlo Panico

Foto © Pixabay.com/Skeeze




Sorrento: cosa vedere in un giorno

Anche quest’estate è terminata: il sole, il mare, le passeggiate sui lungomari affollati… Quanto abbiamo aspettato per tutto questo e poi… puff… tutto sembra essere sparito nel giro di un paio di settimane. Ebbene sì, soprattutto per alcuni di noi rimasti in città per impegni di lavoro, l’estate è sembrata davvero troppo breve, ma noi Campani siamo davvero fortunati a vivere in questa regione così bella, bagnata dal mare blu così tanto decantato in centinaia di canzoni, antiche e moderne, conosciute in tutto il globo. Proprio per questo, ogni scusa è buona, per me in primis, per scappare dal cemento della città.

Poco meno di un’ora d’auto e raggiungo la mia amata Sorrento, meta delle mie numerose fughe del fine settimana, luogo preferito dove trascorrere qualche ora lontana dal tran-tran di tutti i giorni, dove poter ritrovare colori e sapori antichi da me tanto amati.

“Vide ‘o mare de Surriento
Che tesoro tene nfunno
Chi ha girato tutto ‘o munno
Nun l’ha visto comm’a ccà
Guarda attuorno sti ssirene,
ca te guardano ‘ncantate,
e te vonno tantu bene…
Te vulessero vasà.
E tu dice: “I’ parto, addio!”
T’alluntane da ‘stu core
Da la terra de l’ammore
Tiene ‘o core ‘e nun turnà?
Ma nun me lassà,
Nun darme stu turmiento!
Torna a Surriento,
Famme campà!” 

La mia passeggiata di fine estate inizia già di buon mattino: il sole splende e la musica mi accompagna, come al solito, ovunque io vada. Lungo il tragitto mi godo il panorama, la Costiera Sorrentina è splendida, come sempre: i colori si sposano tra loro perfettamente con la natura rigogliosa della costa, i profumi, i fiori dai mille colori diventano come un abbraccio intorno al mare blu, sempre splendido e scintillante.

Il profumo dei limoni mi fa compagnia fin da subito, forse perché parte ormai del mio DNA. Non può certo mancare, infatti, una sosta ai tanti punti di ristoro locali dove poter sorseggiare una squisita granita fatta con i migliori limoni della zona e il ghiaccio “grattato” al momento da grosse lastre gocciolanti, una cosa semplice da rifare anche a casa, ma che non avrà mai il sapore di quella bevuta lì, ai camioncini a tre ruote colorati e bizzarri che si trovano solo in questi luoghi.
Finita la sosta rinfrescante e doverosa, si prosegue per l’ultimo tratto di costa che mi porterà finalmente nella mia location preferita: Sorrento.

Sono anni che vengo a rintanarmi qui, di tanto in tanto, e di solito pernotto in una struttura semplice e familiare poco distante dal corso principale, un B&B gestito da proprietari che vivono lì da almeno due generazioni.
Qui mi sento come a casa mia, e forse anche meglio, visto il giardino rigoglioso che ci circonda, fitto di alberi di limoni grandi come cocomeri, il panorama mozzafiato, gli ambienti curati nei minimi dettagli, dai colori sgargianti delle tipiche ceramiche locali, e le torte fatte in casa servite a colazione.
Questi luoghi mi fanno rilassare sul serio, qui non mi interessa fare vita mondana, la mia giornata trascorre serena passeggiando tra i tanti vicoletti colorati, ammirandone i luoghi gustando mille prelibatezze locali.

Sosta primaria resta sempre la pausa relax n.1, seduta sotto il gazebo in Piazza Tasso con una coppa gelato al gusto di menta e cioccolato, delicato sapore di latte e menta tempestato da pepite di ottimo cioccolato fondente, credetemi… non ne esistono eguali!
Dopo si continua con la passeggiata tra i vicoletti, dove si trovano interessanti articoli di produzione locale conosciuti ed apprezzati in tutto il mondo: profumi, sandali in cuoio, stoffe con ricami preziosi, spezie e aromi essiccati, articoli in legno intarsiato, gioielli con coralli e pietre dai mille colori e, poi, dulcis in fundo, i famosi liquori a base di caffè, cioccolato o limone.
Una sosta in ognuno di questi negozietti è dovuta, ma in quello dei liquori mi perdo davvero: assaggia uno, prova l’altro e ti ritrovi in un attimo lontano… molto lontano davvero!
È proprio qui che ho preso per voi la ricetta di uno dei liquori più conosciuti ed apprezzati: il Limoncello (in fondo all’articolo).

Sorrento dove mangiare bene

Le mie giornate Sorrentine sono sempre piene di cose da fare e da vedere, mi lascio trasportare dai profumi e dai colori e, come già detto, dai sapori dei piatti tipici della zona. Qui c’è sempre l’imbarazzo della scelta per quanto concerne il buon cibo, ma questa volta non ho avuto alcun dubbio a riguardo, dovevo mangiare a Nerano, la location perfetta per un momento indimenticabile: Ristorante Maria Grazia, rinomato per i famosi “Spaghetti alla Nerano, conditi con un succulento sugo a base di zucchine e formaggio locale, gustati a pochi metri dal mare azzurro e limpido di Punta Campanella.

Le giornate trascorse in questi luoghi restano ben impresse nella memoria, seduti in riva al mare incastrato in questa piccola baia mozzafiato, sentendo il profumo del buon cibo, la musica, i colori tutti intorno a farne da cornice ci trasportano lontano in paesi conosciuti solo nei libri di fiabe… Purtroppo, però, come tutte le cose belle, anche la mia giornata Sorrentina giunge al termine: nelle mie fughe dalla città, sempre brevi ma intense, riesco comunque a ricordare ogni dettaglio e, come al solito, rientro in città felice e soprattutto orgogliosa di essere cittadina di questa Terra magica.

Betty Romano xxx

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Come fare il limoncello di Sorrento

Ingredienti

  • 1 litro di Alcool di buona qualità
  • 6 limoni di Sorrento IGP con buccia molto spessa e profumata
  • 400 gr di zucchero bianco
  • 700 dl di acqua

Prima fase di preparazione:
Lavate e spazzolate i limoni in acqua calda per ripulirli da eventuali residui di insetticidi.
Ponete in una brocca l’alcool e aggiungete i pezzi di scorza aromatica ricavati dalla buccia. Sistemate la brocca coperta in una stanza buia o in una credenza e lasciate macerare la buccia nell’alcool a temperatura ambiente, per circa un mese.
L’infuso assumerà lentamente l’aroma e il colore del giallo del limone.

Seconda fase di preparazione:
Dopo circa un mese di riposo, aggiungete all’alcool un pentolino di acqua e zucchero, che avrete prima portato a ebollizione e poi lasciato raffreddare. Riponete di nuovo la brocca al buio per un altro mese abbondante. Dopo circa quaranta giorni, l’infuso va filtrato nelle bottiglie, scartando le bucce utilizzando una vecchia tela.
Conservare il liquore in freezer.