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CAVULUCIORE (Cavolfiore)

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Pasta e cavoli si cucina con il pomodoro o senza?
Da almeno due secoli questo interrogativo accompagna uno dei piatti storici della cucina napoletana e oggi di quella italiana. Considerati sacri nell’antichità, venivano consumati crudi dai romani, prima dei banchetti, per far assorbire meglio l’alcool; i greci invece erano soliti utilizzarli come curativo della sbornia.

Usato per secoli come pianta curativa, nel 1600 il brodo di cavolo era consigliato per guarire e prevenire patologie polmonari, ma anche raffreddori, laringiti e reumatismi. Solo tra la metà del ‘700 e l’inizio dell’800, il cavolfiore inizia ad entrare in cucina, divenendone subito uno dei protagonisti indiscussi.
A minestra, con la pasta, lessi e in insalata, i cavoli diventano uno degli alimenti preferiti dai napoletani.

Le cronache del Regno delle Due Sicilie ricordano che tutto attorno alla città di Napoli “era come un grande orto”, e nel 1787 ogni giorno “in città arrivavano grandi quantità di verdure fresche”, tra cui abbondavano i cavolfiori e le torselle. Sin dalla metà del 1700 e per oltre un secolo, i territori della zona Vesuviana, dove i cavoli crescevano rigogliosi grazie alle fertilità del terreno lavico, hanno consentito al Regno delle due Sicilie di essere primo produttore europeo. Quei cavuluciori erano coltivati a Nord e Sud della città alla falde del Vesuvio, tanto che San Giorgio a Cremano, molto probabilmente, deve il suo nome proprio alle coltivazioni estensive di cavolo. La città del compianto Massimo Troisi, infatti, nasce dall’unione di due borghi, San Giorgio, che deve il nome alla venerazione dell’omonimo santo e Cambrano che secondo diverse fonti deriva dal latino arcaico “cambre” che significava proprio “cavolo” dalla fiorente coltivazione di questo ortaggio.

Ma i cavoli si mostrarono molto utili soprattutto alla fine del ‘400 quando, in seguito alla scoperta dell’America, iniziò l’epoca dei viaggi esplorativi. Navigando per lunghi periodi senza avere la disponibilità di cibi freschi, infatti, i marinai avevano sempre a bordo una grossa scorta di cavoli, molto utili per contrastare lo scorbuto, una malattia causata dalla carenza di Vitamina C. Il Capitano James Cook, uno dei più grandi navigatori ed esploratori della storia, durante tre anni di navigazione, in tutte le latitudini e a tutti i climi, non perse nessuno dei suoi 118 uomini dell’equipaggio, dal momento che faceva mangiare loro cavoli cotti o crudi.
I cavuluciori sono l’ingrediente principale anche della famosainsalata di rinforzo” in cui il cavolo, un alimento fondamentalmente “povero” e leggero, viene “rinforzato” con ortaggi sott’aceto come carote, sedano, finocchi e cetrioli, olive bianche e nere, capperi e qualche acciuga salata. Dalle origini incerte, molto probabilmente il Cavalcanti, nella sua “Cucina teorico-pratica”, con il termine “caponata” si riferiva proprio agli ingredienti dell’insalata di rinforzo. Sembra un piatto semplice da preparare eppure a Napoli, e più in generale in tutta la Campania, al pari del ragù o della pastiera, per citare due ricette tradizionali, la sua ricetta e preparazione è ancora oggi molto dibattuta: ognuno ha la sua tecnica che si tramanda da generazioni e quella propria è la migliore.

Almeno tre sono le leggende, o comunque le storie, raccontate in merito a questa squisita pietanza e che provano a dare una spiegazione al nome senza dubbio originale. La più diffusa è quella secondo la quale è detta “di rinforzo” perché, a partire dalla vigilia di Natale, man mano che viene consumata, è usanza “rinforzarla” con gli ingredienti mancanti, ma anche arricchirla con sapori nuovi. Perché è un piatto che, seppur preparato rigorosamente il 24 dicembre, accompagna tutto il periodo natalizio e la presenza dell’aceto preserva la qualità degli ingredienti per più giorni.
Un’altra teoria, invece, fa riferimento al fatto che originariamente l’insalata di rinforzo era una pietanza prevista esclusivamente per il cenone della vigilia di Natale, per tradizione magro, molto leggero, composto solamente da qualche pietanza di pesce. Dunque, la funzione dell’insalata era appunto quella di “rinforzare” la cena rendendola più sostanziosa. La terza motivazione è quella secondo la quale l’insalata, servita come antipasto, aiuta ad aprire lo stomaco, a “rinforzarlo” e prepararlo ad accogliere tutte le altre portate. Molto gustosa e ricca di sapori, ha un sapore deciso grazie anche alla presenza delle cosiddette “papacelle”, peperoni tondi leggermente piccanti conservati sott’aceto, talvolta ripieni. Il piatto si presta ad infinite varianti e infatti ogni famiglia ha la propria ricetta: c’è chi ad esempio aggiunge la scarola, chi invece il capitone avanzato.

Appuntamento alle prossime pietanze…

Fofò Ferriere
Giancarlo Panico

Foto © Pixabay.com/Skeeze