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Pizza

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Fritta o cu ‘a pummarola, ‘a pizza è più di una pietanza: è un modo di essere, di mangiare, di vivere.
Più del tè, del caffè o del cioccolato, che sono stati i primi veri alimenti globali, è stata il primo prodotto internazionale, si potrebbe azzardare che la pizza ha dato il via alla globalizzazione.
Più del Vesuvio o della canzone napoletana, pure famosa in tutto il mondo, e forse anche più della pasta, è il vero simbolo della Città di Napoli. La pizza esiste da sempre, ma è quella fatta a Napoli che ha conquistato tutto il mondo divenendo il primo piatto universale.

I napoletani si dividono tra quelli che la preferiscono fritta, “il male buono”, come la chiama Fabrizio Mangoni, l’architetto e urbanista gastronomo autore di uno dei più bei libri sulla pasticceria napoletana: “Dolcipersone” (Guida, 1966) e coloro che sono fedelissimi alla pizza al forno: marinara, margherita o calzone (il ripieno). Ancora oggi, camminando per le strade di Napoli, è possibile imbattersi nelle friggitore o nei friggitori, i precursori dei moderni pizzaioli, che preparavano ottime pizze fritte nei loro stufaruoli di rame. Non tutti potevano permettersi una pizza fritta, e così si accontentavano delle pizzelle, un piccolo disco di pasta di pizza fritta, condita solo con un pizzico di sale, con salsa di pomodoro e origano o un tocchetto di fiordilatte. È quella oggi conosciuta come “montanara” e che, in molte case napoletane, si prepara sovente anche come sfizio.

Fino a poco più di mezzo secolo fa, ben oltre gli anni ‘60, era consuetudine mangiare la pizza per strada, come rigorosamente bisognerebbe fare con gli street food. Le pizzerie erano un lusso da concedersi nei giorni di festa o in occasioni di ricorrenze e così, a Napoli, per secoli la pizza la si è mangiata a libretto (o portafoglio), cioè ripiegata in quattro e avvolta in un pezzo di carta da salumiere. E quando proprio non si riusciva a resistere alla bontà di una pizza, la si poteva pagare “a otto”, cioè otto giorni dopo averla mangiata.

Prima di essere utilizzato univocamente per indicare la pizza come la conosciamo oggi, questo termine era utilizzato principalmente per torte, dolci e salate, come la pizza crema e amarena, l’antesignana del pasticciotto crema e amarena, oppure l’antichissima pizza di scarole. La pizza deve il suo successo alla bontà del prodotto, innanzitutto, alla sua economicità, e facile reperibilità, ma anche grazie prima alle decine di canzoni che la decantavano, poi alla televisione e al cinema, dov’è stata protagonista di numerosi film. Curiosamente, però, la canzone più famosa sulla pizza l’ha scritta un milanese doc, Alberto Testa, poi cantata e portata al successo da Renato Carusone e da Gaber:

io te ‘ncuntraje
volevo offrirti
pagandolo anche a rate
nu brillante
‘e quínnece carate

ma tu vulive ‘a pizza ‘
a pizza, ‘a pizza
cu ‘a pummarola ‘ncoppa

Tutti i grandi autori della canzone napoletana hanno cantato la pizza:

1896 – ‘O pizzaiuolo nuovo (Capurro/Gambardella);
1902 – ‘A pizzaria ‘e Don Saveratore (Di Giacomo/Valente);
1908 – ‘O pizzaiuolo (Fiordelisi/Mazzone);
1947 – ‘A canzone d”a pizza (Garofalo/E. A. Mario);
1948 – ‘A pizza c”o segreto (E. A. Mario);
1955 – Sophia (Caputo/Framel);
1957 – ‘A pizzaiola (Casolini/Bonafede); – Cardulella (Furnò/Oliviero); – ‘A pizza c”a pummarola (Pazzaglia/Modugno);
1966 – ‘A pizza (Testa-Martelli)

Appuntamento alle prossime pietanze…

Fofò Ferriere
Giancarlo Panico

Foto © Pixabay.com/SalvatoreMonetti