Dai periodi di carestia, si sa, vengono fuori le idee più strabilianti, si aguzza l’ingegno, si inventano cose per far fronte a necessità impellenti e a cui non si può far fronte per mancanza di risorse.
E così accade in cucina, e soprattutto in quella Partenopea, lì dove inventiva ce n’é da vendere e dove i periodi di carestia nella storia non sono stati pochi. Ecco che allora qualcosa dove saltar fuori per arricchire ciò che ricco non è, per festeggiare un qualsiasi evento con l’idea che in quel giorno si può santificare la festa con tutto quello che di più buono si può mettere in tavola.
Ma senza risorse come si fa?
Come si sopperisce ad una carenza che è proprio di base perché manca, per esempio, l’ingrediente principale da cui la ricetta di una prelibata pietanze prende il nome?
E qui la genialità del popolo napoletano viene in soccorso e voi direte: come si potrebbe fare mai? La risposta è: escludendo semplicemente l’ingrediente principale, gustoso e caro ma lasciandolo nel nome che si da a quella pietanza. E che cosa si ottiene in questo modo? È semplice: i Napoletani, attraverso il loro intuito formidabile, hanno tradotto ciò che riportano tante teorie e studi socio-psicologiche sulla formazione del gusto nel cervello e soprattutto quella per la quale noi arriviamo alla degustazione con un’idea preesistente dell’esperienza gustativa che stiamo per avere. Ecco, quindi, che gli spaghetti a vongole, senza vongole, diventano gli spaghetti alle vongole “fuiute” (scappate): in questo modo, quando assaggiamo il piatto, recuperiamo nel nostro cervello il ricordo del piatto originale e ci avviciniamo al gusto che già conosciamo.
Pazzesco vero? Provare per credere!!!
A presto con i finti menù…
Fofò Ferriere
Gennaro Fierro