Nell’articolo precedente sull’olio di oliva, abbiamo visto come nasce questa pianta, i miti che la riguardano e, soprattutto, perché, da sempre, è simbolo di pace. Scopriamo, invece, insieme, come dall’Antica Grecia questa pianta arriva in Italia, nella nostra terra, diventandone una delle colture principali e, attualmente, più antiche.
L’ulivo nell’Antica Grecia
Solone (640-561 a.C.), poeta, legislatore e arconte (uno dei nove capi ateniesi), fece piantare un gruppo di ulivi e fu famoso, nella legislatura del 594, per aver promosso l’olivicoltura ponendola sotto la protezione di Zeus. Un’ennesima leggenda vuole che Alliroto, figlio di Poseidone, al fine di vendicare la sconfitta paterna, avrebbe tentato di abbattere questi alberi con un’ascia che gli sarebbe sfuggita e lo avrebbe ucciso. Secondo un’altra versione, Alliroto sarebbe stato colpito dal fulmine di Zeus.
Nella norma emanata da Solone, valida per tutta l’Attica, veniva vietato l’abbattimento di ulivi. In caso di estrema necessità e per la costruzione di aree votive, il numero di alberi da abbattere non doveva superare le due unità all’anno. Anche in un’orazione di Lisia troviamo cenni a leggi sulla protezione dell’olivo.
L’ulivo nel bacino del Mediterraneo
In paesi come Palestina, Siria e Creta, luoghi di origine delle più antiche civiltà, si sviluppò la prima olivicoltura. Da lì, l’ulivo si diffuse nel Mediterraneo da oriente ad occidente. Tale diffusione avvenne in più fasi.
La prima, e la più nota, coincide con il periodo che va dal 5000 al 1400 a.C., raggiungendo l’apice dopo il 2000 a.C. quando l’ulivo da Creta si propaga in Siria, Palestina, Israele. Le relazioni commerciali e l’applicazione del “know-how” nell’olivicoltura portarono a nuovi territori da sfruttare con modeste aree nell’odierna Turchia meridionale, Cipro ed Egitto.
Intorno al 1500 a.C. inizia la seconda fase che comporta la diffusione in tutta la Grecia e nelle sue isole, tranne Micene ove questa diffusione si fermò intorno al 1100 a.C..
Anche le colonie greche furono investite dalla diffusione dell’ulivo a partire dall’ VIII sec. a.C., quando i Greci cominciarono ad espandersi nel Mediterraneo e a fondare colonie in Sicilia nell’Africa settentrionale e nella Francia del sud.
L’ulivo e l’olio nell’Antica Roma
Presso gli antichi popoli italici, l’olivo simboleggiava la fertilità dell’uomo e della terra, e anche a Roma era venerata come pianta sacra. È abbastanza facile comprendere perché questa pianta abbia attraversato i secoli rivestita di un’aura di sacralità: l’olio non solo serviva come condimento, ma la sua morchia bruciata era ricca concime, gli oli più pesanti davano luce alle lampade, mentre il suo legno prezioso poteva essere bruciato solo sull’altare degli dei. E l’olivo si lega così indissolubilmente al progredire della civiltà mediterranea.
Durante il I sec. a.C., nelle terre romane del bacino mediterraneo, si coltivano olivi e viti con tecniche d’avanguardia.
L’ulivo venne così piantato in Italia meridionale e in Africa settentrionale. Le coltivazioni già esistenti vennero invece ammodernate e ingrandite. Tra il 700 e il 600 a.C., l’albero si diffuse nella Cirenaica libica e in Francia meridionale. Anche i Fenici, particolarmente attivi nella coltivazione e trasformazione dell’ulivo selvatico, piantarono uliveti nei loro fondi introducendoli verso l’850 a.C. a Cartagine. Secondo Plinio (XV,8), l’Italia della metà del I sec. d.C. possedeva tanto ottimo olio e di poco prezzo da superare tutti gli altri paesi.
A quei tempi passava un certo periodo tra la raccolta e la molitura al torchio (torcularium): questa avveniva in un locale ove si trovavano le macine (mola olearia o trapetum) e la pressa (torculum). Non era possibile evitare un periodo di giacenza di alcuni giorni nel magazzino (tabulatum). Se questo non era dannoso per le olive sane, certamente lo era per quelle infestate da insetti o ammaccature. Oggi passano al massimo 48 ore tra la raccolta e la molitura o macinatura e, quindi, torchiatura della pasta.
L’ulivo e l’olio dal Rinascimento ai giorni nostri
Ecco dunque l’olivo affacciarsi al secolo XIV da protagonista, raffigurato rivestito delle antiche simbologie nella splendida iconografia del tempo, e il Rinascimento lo trova insieme alla vite, gran protagonista dell’agricoltura. Il governo mediceo a Firenze darà impulso all’olivicoltura concedendo gratuitamente grandi estensioni di terreno collinare a chi le coltivi e l’olio toscano è così già famoso nella penisola.
Il sec. XVIII è il secolo d’oro per l’olivicoltura nazionale: l’Italia risulta essere la produttrice del miglior olio che si trovi sul mercato europeo, tanto che durante questo secolo e nel successivo, si fanno sempre più estese le terre convertite all’olivicoltura, cui attinge non solo il settore alimentare, ma anche la nascente industria conserviera, quella dell’illuminazione, della saponificazione, e altre.
In questo periodo si notano ingenti investimenti di capitale nell’olivicoltura, che si fa sempre più impresa trainante dell’economia dovuta anche all’ampliarsi del commercio verso paesi sprovvisti del famoso prodotto, molti dei quali lo impiegano anche nell’industria tessile.
Il XX secolo, con l’arrivo delle nuove tecnologie, ha visto notevolmente semplificato il lavoro di raccolta e di molitura, consentendo prezzi migliori ed una più rapida diffusione del prodotto.
Oggi l’olio di oliva è rimasto una pietra miliare nell’alimentazione mediterranea, guardato con sempre maggior rispetto dalla dietologia moderna. Questa ci ha insegnato che usato con intelligenza, l’olio extravergine di oliva è il condimento sano per eccellenza.
I nostri antenati di questo ignoravano tutto, ma ne avevano fatto il condimento base della propria alimentazione, povera sì, ma sana ed esaltata nei sapori e nei profumi dei prodotti della terra.
Sapori e profumi che assimilano oggi, come allora, le diverse cucine di tutti i popoli che si affacciano sul Mediterraneo.
Fofò Ferriere
Gennaro Fierro
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